Tutti gli articoli di Conosci

Rebibbia, Libianchi: «Per detenuti tossicodipendenti, il vero rischio è fuori dal carcere»

Conosci.org 31,Mag News

Sanità e sicurezza nelle carceri italiane per i detenuti tossicodipendenti e/ alcolisti. Una questione da sempre dibattuta e molto delicata.

«Responsabile Civile» ha voluto analizzare l’adeguatezza del servizio all’interno del carcere romano di Rebibbia con alcuni cenni alla situazione nazionale, assieme al dott. Sandro Libianchi, responsabile medico Unità Operativa della Casa di Reclusione maschile e femminile di Rebibbia, nonché presidente del Coordinamento nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane (Co.N.O.S.C.I.).

 Iniziamo con un quadro generale per meglio comprendere i differenti casi di detenzione legati alle sostanze stupefacenti e uso di alcolici e come vengono trattati all’interno del carcere.

 La situazione a Roma e in Italia è che almeno la metà delle persone che entrano in carcere ha o ha avuto problemi di alcol o tossicodipendenza. Nel carcere di Rebibbia e in quello delle altre città metropolitane si è arrivati anche al 60-70%. Parliamo di detenzione dovuta al consumo delle sostanze, ma anche dovuta ai reati connessi. Una rapina per procacciarsi i soldi per comprare  droga è il caso più tipico. Mentre le persone che appartengono a quest’ultima categoria possono avere problemi o meno legati all’astinenza, nel caso di coloro che entrano per il reato di consumo il problema di astinenza è certo, e questi sono i casi che interessano maggiormente la medicina. Si tratta di persone che devono essere prese in carico con urgenza, se solo consideriamo che prima dell’ingresso in carcere possono passare anche 48 ore di fermo in caserma, questura o tribunale; dunque si tratta di un’astinenza molto pronunciata, in pieno corso. A Rebibbia, come nelle altre carceri italiane, adottiamo terapie sostitutive specifiche: metadone o altri farmaci simili. Questa delle terapie sostitutive con metadone è una conquista recente (da una decina di anni), se solo pensiamo che un tempo si andava avanti con aspirina, valium e farmaci non sostitutivi ma che costituivano solo un temporaneo tamponamento.

 Quali problematiche si riscontrano nel trattamento delle differenti tipologie di dipendenza e come vengono formulate le terapie?

 Ogni droga ha una terapia specifica e deve essere trattata in modo diverso. Droghe come la cocaina, la chetamina e i mille tipi di amfetamine non danno un’astinenza grave, ma più lieve e più prolungata nel tempo, perciò molto più difficile da curare. Curare una persona dipendente da eroina è meno difficile che curarne una dipendente da cocaina. Oltretutto, molto spesso, i dipendenti da cocaina non lo dicono, per vari motivi (paura di avere altri reati, ignoranza), quindi il loro numero, a Rebibbia e in tutta Italia, è sicuramente sottostimato. La prima selezione avviene all’ingresso in carcere, dove vengono monitorati i primi sintomi e viene chiesto al detenuto di descrivere il suo malessere psicofisico. In base ai riscontri viene formulata una terapia.

 Qual è il corso della terapia durante la detenzione?

 Il mantenimento della terapia durante la detenzione è una questione molto delicata e problematica. Naturalmente si tratta di terapie che all’inizio sono di tipo molto farmacologico e nei successivi periodi gradualmente meno farmacologiche e sempre più socio-psico-assistenziale, una sorta di dissolvenza incrociata. Ma la parte più difficoltosa, che rischia di vanificare il lavoro fatto in carcere, è quella successiva alla detenzione, l’affidamento alle comunità terapeutiche o ai servizi territoriali. Se questo passaggio avviene bene, cioè con una consegna vera propria di delega della presa in carico, noi abbiamo la minima parte delle ricadute a 2-3 anni. Se invece ciò non avviene abbiamo il massimo della ricaduta e rischio di overdose. Quindi, se durante la detenzione possiamo riscontrare dei problemi generali risolvibili, i veri rischi (le overdoses fatali ad esempio) si trovano all’uscita dal carcere,oppure all’uscita dalle comunità terapeutiche. È dopo l’uscita che c’è l’evento, il decesso per overdose, che vanifica tutto ciò che si è fatto prima. Teniamo presente che quando il tossicodipendente esce ha bisogno di rientrare nel proprio ambiente familiare, non sempre favorevole per la sua salute. Parliamo di quei nuclei familiari in cui più persone fanno uso di alcol e stupefacenti e tendono a perpetuare questi riti al loro interno. Questo è uno dei grossi limiti che favorisce la ricaduta.

 Discorso a parte va fatto per l’alcol…

 È il primo ‘aggancio’ economico. Costa poco, si trova ovunque. Il binge drinking (l’assunzione di più bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve, ndr) sta prendendo sempre più piede tra i più giovani (14-16 anni). Oggi l’alcol è una delle principali droghe di innesco. Droga perché se consumato in una certa quantità dà gli stessi effetti di una sostanza stupefacente. Tant’è che la fase di intossicazione acuta da alcol è pressoché indistinguibile da quella di eroina. Stesse reazioni, stessi comportamenti e sintomi.

 Quali sono le categorie più a rischio per quanto riguarda l’alcol come droga di innesco.

Nell’ambito di arrestati minorenni, ad esempio, la maggior parte di essi hanno problemi di consumo di alcol e amfetamine. A quell’età, ancora poco note sono l’eroina e la cocaina, ma con quell’innesco sono problemi che possono venire fuori in futuro.

Anche le donne sono molto sensibili agli alcolici, più degli uomini. Quindi anche qui la droga di innesco attacca meglio.

Altra categoria è quella degli stranieri. Prendiamo ad esempio il musulmano che viene in Italia, in Europa, dove, rispetto alla sua cultura, tutto è concesso. È il primo ad andare a consumare alcol nei supermercati per scaldarsi durante l’inverno, dal momento che spesso non ha neanche una casa.  Man mano che il tempo passa e non ha di che vivere viene intrappolato nel commercio di stupefacenti, di cui spesso diventa consumatore anche lui. Ed ecco che la droga di innesco ha funzionato. Il soggetto in questione è diventato un politossicodipendente.

Aggiungo che curare in carcere una persona con una cultura totalmente diversa dalla nostra, con un approccio alla vita totalmente fuori dai nostri schemi terapeutici è estremamente complicato. Teniamo presente che spesso quando queste persone escono li aspetta l’espulsione, niente comunità o presa in carico. Significa che ci ricadranno immediatamente nel circolo: prima alcol e poi droga.

 Quanti detenuti per tossicodipendenza ci sono a Rebibbia?

 La percentuale di detenuti per tossicodipendenza di Rebibbia è lievemente al di sopra delle statistiche nazionali, dove troviamo il 35% su un totale di circa 2200.

 Cos’è migliorato e cosa può migliorare nel servizio sanitario e di sicurezza per i tossicodipendenti presente nel carcere di Rebibbia?

 È migliorata moltissimo la percezione da parte del personale di polizia e personale penitenziario delle proprietà terapeutiche del metadone e di altri farmaci simili, che essendo farmaci stupefacenti incontravano resistenze di ogni tipo. Frasi del tipo: ‘Tu non porterai mai droga nel mio carcere’ erano all’ordine del giorno, intendendo per droga un farmaco regolarmente registrato dal Ministero della sanità e regolarmente distribuito dal servizio sanitario Nazionale.

Quello che potrebbe migliorare oggi è l’invio in comunità, lavorare affinché diventi meno burocratizzato e più personalizzato. Purtroppo dobbiamo fare i conti con comunità in crisi economica e in calo come presenze. Gli ex detenuti tossicodipendenti sono scarsamente presi in carico dai servizi delle tossicodipendenze (Sert) perché questi ultimi sono allo stremo: non hanno soldi, non hanno personale, non hanno risorse. Questo accade ormai da molti anni. Quindi, la potenzialità di questi anni si è drasticamente ridotta, e ciò si lega a un altro discorso… Si sta facendo molto ricorso a misure alternative non terapeutiche per i tossicodipendenti, che non entrano in carcere e vengono immessi in un circuito extra-carcerario. Ma non è come andare in comunità, dove seguono una terapia: vanno a fare altro (affidamento lavorativo o di altro tipo), ma rimangono consumatori. Questi sono punti che non fanno funzionare bene il sistema.

Ma il problema più difficile da gestire, sia dentro che fuori, rimane quello della comorbilità psichiatrica, cioè la persona che ha disturbi psichiatrici e fa uso di droghe o alcol. Questo è lo zoccolo duro del sistema di presa in carico. È difficilissimo curare queste persone.

Veniamo al personale medico e di sicurezza nel carcere di Rebibbia.

Carenze di personale ce ne sono. Sia di guardia medica, che specialistica e di medicina di base, i tre settori chiave. Ce ne accorgiamo dal sovraccarico lavorativo delle persone che lo fanno, e bisogna tener conto che ciò aumenta il coefficiente di errore (uno dei rischi clinici). Questo vale per  qualsiasi professione: medici, infermieri, anche la polizia penitenziaria ha lo stesso problema. Per questi ultimi le carenze di organico non sono altissime, ma ci sono e incidono sulle prestazioni. Esistono delle statistiche importanti sull’incidenza dei suicidi nelle forze di polizia, penitenziaria e non. In questi anni sono aumentati molto. È un lavoro molto duro, complicato.

A proposito di suicidi… È una scelta drammatica che spesso riguarda anche i detenuti tossicodipendenti, a Rebibbia come nelle altre carceri italiane.

 La metà delle persone che si suicida nelle carceri italiane ha problemi di alcol o  droga.  Per prevenire questo problema, esistono protocolli specifici di filtro all’entrata delle persone a rischio. Un sistema che viene utilizzato anche per determinare altre tipologie di soggetti (gli autolesionisti ad esempio).

Come si calcola l’efficacia dei protocolli piuttosto che delle terapie?

 In generale, l’efficacia su un sistema (protocolli, terapie etc.) si vede dopo almeno 5 anni. Riscontrarla dopo un anno non ha molto senso.

Un ultimo sguardo sulle stanze di detenzione. Esiste ancora il problema del sovraffollamento? Qual è il livello igienico-sanitario all’interno del carcere?

 Quello del sovraffollamento un problema che è stato risolto negli anni. Siamo al 102% (in Italia come a Rebibbia), quindi un discreto affollamento c’è, ma che non raggiunge mai quello drammatico di qualche anno fa, dove si registravano 68.000 detenuti. Per quanto riguarda i detenuti tossicodipendenti, si tende a uniformali per i reparti e a non ghettizzarli, cosicché possano stare in stanze di detenzione da uno, due, cinque, anche dieci unità.

Per quanto riguarda le condizioni igieniche, a Rebibbia il livello è medio-buono. In molte altre strutture siamo su un livello medio-basso.

A cura di Pierpalo De Mejo

La salute nelle carceri italiane

Conosci.org 31,Mag News

L’IMPEGNO PER RENDERE EFFETTIVAMENTE OPERATIVI GLI IMPORTANTI PROVVEDIMENTI NORMATIVI IN VIGORE

A cura di Sandro Libianchi – Presidente Associazione  Co.N.O.S.C.I. (Coordinamento Nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane (Roma)

I 150 attentissimi partecipanti ed altri 100 che non è stato possibile iscrivere per le severe regole dell’ECM, 40 qualificati relatori, rappresentanti delle realtà sanitarie, accademiche e delle istituzioni regionali e nazionali sono le cifre che caratterizzano l’evento scientifico del 1 aprile presso  la  prestigiosa  cornice  del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Così si è presentato lo scenario del periodico convegno dell’associazione Co.N.O.S.C.I. (Coordinamento Nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane) che si tiene sempre in questa data. Quest’anno, il 1° aprile era una data particolarmente significativa in quanto sono passati sette anni dalla pubblicazione del DPCM del 1/4/2008 che trasferiva definitivamente le competenze sanitarie in carcere alle Regioni dal Ministero della Giustizia, ed era anche il primo giorno dopo che è stata sancita la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Quale migliore occasione per studiare proposte, effetti ed indicatori di come stanno andando realmente le cose?

L’evento ha dato anche l’occasione di presentare i dati relativi al completamento del progetto “O.P.G.: i pazienti folli-rei ora saranno curati” sostenuto dalla Provincia di Roma (oggi Città Metropolitana di Roma Capitale, ndr) nell’ambito del programma ‘Prevenzione 2012’. Nel corso dello svolgimento del progetto sono state realizzate più di cinquanta tra riunioni e comunicazioni in ambito della Provincia di Roma circa l’andamento della normativa nazionale e regionale sulla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e sulle problematiche connesse.

L’apertura dei lavori è stata condotta dalla Sen.  Fabiola  ANITORI  la quale,  come  facente   parte   dello staff del Ministro della Salute, ha ripercorso i passi che hanno  portato alla sottoscrizione delle Linee guida dell’organizzazione sanitaria in carcere il 22 gennaio 2015, e tutte le difficoltà che sono state superate grazie all’intervento diretto dell’On. Beatrice LORENZIN, la quale ha rimarcato nel suo messaggio “l’impegno con cui ogni giorno l’associazione Co.N.O.S.C.I. contribuisce a rendere migliore la nostra società” anche attraverso la collaborazione alla stesura di un “documento epocale e dirompente”, quale quello delle Linee guida dell’organizzazione sanitaria in carcere pubblicato   lo   scorso   18   marzo. La

 

Un momento dei lavori nella Sala Convegni del Consiglio Nazionale delle Ricerche

 

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Politiche Antidroga, attraverso il suo coordinatore, il Cons. Avv. Patrizia DE ROSE, ribadisce che “il processo formativo promosso dall’associazione costituisce una fase importante del processo     di attuazione dell’accordo di disciplina dell’organizzazione della salute in carcere” e che nella Annuale Relazione al Parlamento sull’attività antidroga del Governo e delle Regioni una parte significativa sarà destinata alla descrizione del fenomeno in ambito penitenziario, sia per gli adulti che per i minorenni. Ma certamente i segnali più forti vengono dalla Giustizia che in questo momento appare ancora in sofferenza, seppur in continuo miglioramento per le condizioni carcerarie e per la scarsità delle risorse. Il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziari, Cons. Dott. Santi CONSOLO, auspica che “…questi incontri debbano coinvolgere tutti gli operatori penitenziari come mai prima” e afferma che “l’entrata del SSN in carcere ha rappresentato un enorme valore aggiunto”, tema ripreso dal Ministro della Giustizia On. Andrea ORLANDO che sottolinea la rilevanza dell’ “indipendenza del medico, poiché il detenuto che a lui si rivolge è per lui un paziente” e rileva come “la professionalità dei team medici dei nostri Istituti e l’attenzione della Magistratura di sorveglianza debbano garantire che tutte le richieste trovino risposte adeguate” con la massima “tutela della riservatezza” per poi concludere: “tornando al complessivo problema della responsabilità politica e della governance del sistema dei servizi alla salute in carcere, tornando cioè all’importanza che il Ministero della giustizia assegna all’Accordo che questo Convegno si propone di esaminare nei suoi aspetti specifici, vorrei che il Ministero della giustizia, che solitamente viene disegnato e descritto come il Ministero dei tribunali, delle carceri, degli avvocati, dei giudici, diventasse anche il Ministero dei diritti, il Ministero del riconoscimento dei diritti”. Un intervento particolarmente significativo è stato fatto dall’Assessore alle Politiche Sociali e della Casa Dott.ssa Francesca DANESE che riportando i saluti del Sindaco di Roma Ignazio Marino – promotore della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in qualità di senatore – ha ribadito l’importanza della programmazione degli   interventi della città a favore della popolazione detenuta soprattutto per il sostegno al lavoro e per la casa. Una presenza speciale è stata inoltre garantita dal rappresentante delle Nazioni Unite a Roma e direttore dell’U.N.I.C.R.I., il Dott. Jonathan LUCAS che ha sottolineato l’importanza dell’azione congiunta tra i diversi paesi e le organizzazioni scientifiche che danno il loro fondamentale contributo di conoscenze e proposte ai governi, soprattutto in sede legislativa e di stesura di linee guida operative, in quanto spesso le parti politica ed amministrativa non conoscono nulla della realtà delle carceri. A tale proposito ha riferito anche circa l’imminente sottoscrizione di un accordo internazionale tra l’associazione Co.N.O.S.C.I., alcune università italiane, l’UNICRI stessa, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Agenzia Publiedit, finalizzato proprio alla stesura di alcune linee guida utili nel settore della giustizia penale.

In conclusione del convegno, il Presidente dell’Associazione Co.N.O.S.C.I Dott. Sandro LIBIANCHI ha riassunto i punti salienti emersi e le prospettive delle prossime iniziative. Inoltre sono stati affrontati e definiti gli obiettivi prioritari della riforma della medicina penitenziaria che dovranno essere attentamente monitorati da parte di tutti gli attori impegnati in questo settore:

  • Completa e concreta realizzazione delle previsioni normative contenute nel DPCM 1/4/2008, nel U. sulle sostanze stupefacenti (DPR 309/90), nella L. 18 febbraio 1999, n. 45 e, soprattutto, nel recente accordo di disciplina dell’organizzazione della salute in carcere del 22 gennaio 2015, con l’identificazione di omogenei modelli organizzativi della medicina penitenziaria
  • Realizzazione di una piena integrazione socio-sanitaria in ambito penitenziario con più strette connessioni tra il momento detentivo e quello successivo all’espiazione della pena e maggiore valorizzazione dell’intervento professionale di assistenti sociali del SSN e della Giustizia
  • Massimizzazione degli sforzi gestionali da parte delle Regioni per l’identificazione e l’implementazione delle risorse in ambiti particolari e critici, quali: il settore dei consumi di sostanze stupefacenti con attivazione di specifici programmi per detenuti e per pene alternative, una diversa e maggiore presa in carico dei pazienti con gravi patologie infettive, l’attivazione di programmi di riduzione del danno in carcere e della prevenzione del suicidio, una maggiore assistenza per le popolazioni fragili quali le donne e gli stranieri
  • Avviamento di programmi di igiene ambientale e di prevenzione intrapenitenziaria con particolare attenzione anche ai luoghi di lavoro del personale addetto, sia di Polizia Penitenziaria, sia appartenente al SSN
  • Identificazione di precisi standard di dotazioni organiche dedicate al carcere ed alle misure alternative ad esso, secondo rilevate esigenze e bisogni della popolazione detenuta
  • Individuazione di specifiche aree di formazione per il personale sanitario e di informazione per quello di Polizia

Considerata la rilevante adesione all’iniziativa, il Presidente Libianchi proporrà al più presto al Consiglio Direttivo dell’associazione lo sviluppo di alcune delle tematiche emerse, e tra queste le prossime iniziative che si terranno nel corso dell’anno 2015 e 2016. Esse riguarderanno:

  • La tossicodipendenza
  • La gestione delle emergenze
  • Gli stranieri e le minoranze
  • Le donne ed i bambini
  • Le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (R.E.M.S.). Il monitoraggio
  • La medicina penitenziaria. Una Consensus Conference per la ridefinizione
  • L’attività degli Osservatori Regionali

“Dopo il Decreto – spiega il Dott. Sandro Libianchi – l’assistenza sanitaria in carcere è stata regolamentata esclusivamente da Accordi in Conferenza Stato-Regioni che non sempre hanno avuto una reale ricaduta sulla qualità e quantità di assistenza, anche per l’estrema frammentazione dei servizi sanitari regionali non conformati a rete nazionale, ma piuttosto a organizzazioni locali non sempre efficienti. La svolta – continua Sandro Libianchi – è stata voluta dal Ministro Beatrice Lorenzin con il varo del ‘Patto per la Salute’ che all’art. 7 prevede la sottoscrizione di uno specifico accordo tra lo Stato e le Regioni sull’organizzazione della sanità in carcere. La situazione è destinata a cambiare: questo documento, firmato dal tutti i Presidenti delle Regioni lo scorso 22 gennaio, ha previsto che una volta sancito l’accordo sui modelli organizzativi della sanità in carcere, si debba passare immediatamente alla fase attuativa con la sua applicazione negli ‘Atti di organizzazione Aziendali’ delle ASL che devono recepire e programmare secondo quelle linee di intervento ed il modello previsto. Come ribadito più volte dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando e dalle organizzazioni che operano in tema di carcere, non è più possibile, se mai lo fosse stato, subire condanne dalla Corte Penale Europea per diritti alla salute negati a detenuti. Ora, più che mai, è richiesto l’impegno di tutti coloro che operano in questo contesto per integrare esperienze intra ed interregionali, investire nelle  professionalità  presenti,  scambiare  conoscenze  interprofessionali,  essendo  la Medicina Penitenziaria, già nella sua denominazione, materia ad alta esigenza       di scambio di competenze ed esperienze. L’iniziativa del 1/4/2015 ha avuto l’intento dichiarato di riportare all’attenzione delle regioni e delle ASL l’esigenza di applicare puntualmente normative esistenti e condivise.”

Chiusura degli Opg: la storia continua

Conosci.org 31,Mag News

Il primo aprile è stata inaugurata a Pontecorvo (FR) la prima REMS (residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) del Lazio, che per ora ha accolto le sue prime 9 pazienti. Le REMS sono le strutture residenziali pensate per accogliere le persone attualmente recluse negli OPG, gli ospedali psichiatrici giudiziari, per legge chiusi il 31 marzo, anche se, come vedremo, non si tratta di una vera e propria chiusura, almeno per il momento. Sono strutture sanitarie, con al massimo 20 posti letto, diffuse sul territorio: nel Lazio ne sono previste cinque, che dovranno accogliere una settantina di persone, che attualmente si trovano negli OPG di Aversa o di Secondigliano, ma sono residenti nella regione. Le altre saranno a Ceccano, Subiaco, Palombara Sabina e Rieti. Quella del 31 marzo è una data spartiacque, fissata per legge, ma è già iniziato da tempo il processo di ridimensionamento di quelli che normalmente si chiamano ospedali pischiatrici, ma in realtà sono strutture di detenzione sopravvissute alla legge 180 che ha decretato la chiusura dei manicomi. Secondo Antigone si è passati infatti dalle oltre 1.200 persone internate nel 2012 alle 761 del 30 novembre 2014. Nonostante questo, però, gli ingressi sono continuati, forse anche per mancanza di alternativa, ma dal primo aprile non sono più possibili.

Facciamo il punto della situazione nella regione con Sandro Libianchi, medico penitenziario e presidente  di CONOSCI (Coordinamento Nazionale per la Salute nelle Carceri  Italiane).

Sono davvero chiusi gli OPG?

«La data del 31 marzo non coincide con alcuna chiusura, ma dal 1 aprile è precluso – se non in casi   eccezionali

– l’invio di detenuti. Per determinarne la chiusura sarebbe stata necessaria una modifica del codice penale e poiché non c’è stata gli OPG continuano ad esistere, anche se non vengono alimentati. Il tempo per lo svuotamento non è fissato per legge e non ci sono parametri, né indicatori, per determinarne la durata. È giusto, del resto, che ci sia una gradualità».

 

Come si stanno muovendo le Regioni?

«Con ritardo e con una evidente scarsa voglia di prenderli in carico. Dopo due proroghe hanno tentato il rinvio infinito e poi si sono scoperte impreparate. Ora però la legge permette ai magistrati di imporre alle Regioni di affrontare il problema: prevede infatti che la misura di sicurezza, che prima era replicabile all’infinito, non sia replicabile oltre il massimo della pena prevista per il reato per il quale il detenuto è stato condannato. Si pone così fine ad un vero scandalo, quello dei cosiddetti “ergastoli bianchi”: quelli delle persone che rimanevano dentro  anche dopo aver abbondantemente scontato la  pena».
Il Lazio si è mosso: a Pontecorvo è stata inaugurata la prima  REMS.
«Sì, ma per fare funzionare davvero queste strutture ci vogliono tre cose: il personale, i pazienti e il controllo esterno di polizia territoriale».
Per il personale è stato indetto un concorso: a regime, serviranno 132 operatori con diverse specializzazioni.
«E già su questa scelta si potrebbe discutere, perché attraverso il concorso di assumeranno neofiti della materia per metterli in una situazione di altissima sperimentalità, visto che non ci sono  precedenti».
Portarci i pazienti è difficile?
«Per portali servono fisicamente mezzi della polizia, ma prima ancora deve esserci un decreto di uscita dall’Opg e un sistema di accoglienza interno. Tutto ciò non si inventa in cinque minuti. Il vero problema però è la gestione interna, che rischia di essere improvvisata».
Per controllo territoriale che cosa si  intende?
« Il problema della sicurezza è reale. La paura della cittadinanza, che si è manifestata anche a Pontecorvo, va rispettata, e va data un risposta seria perché la popolazione possa accettare la presenza delle REMS. Il Ministero degli Interni ha emesso una circolare in cui dà indicazione alle prefetture di accordarsi con enti locali e REMS per organizzare una modalità idonea di sorveglianza, che può andare dal semplice riferimento al 112 o 113 di   pronto intervento a chiamata – ma sapendo di che cosa si tratta e come va trattato – all’allerta sugli SPDC ospedalieri (servizi psichiatrici di diagnosi e cura) in caso di crisi psicotiche o emergenze cliniche. In realtà non ci si aspettano molte emergenze, perché il 50-80% di queste persone sono molto gestibili, spesso sono anziani che sono dentro per reati bagatellari. Esiste anche la categoria dei provvisori, che sono quelli appena arrestati (art.206): non sappiamo come verranno gestiti, in quanto non sono detenuti e spesso hanno una patologia psichiatrica in fase florida».

L’istituzione delle REMS è stata criticata da molti.
«Il timore è che si potrebbe riprodurre una logica di tipo neomanicomiale: è un’obiezione di rischio. Veniamo dall’esperienza della legge 180, che ha messo fuori decine di migliaia di persone, ma in molti casi senza una presa in carico e sappiamo che alcuni sono finiti sotto i ponti. Ma le REMS, che io chiamo opigini,   corrono

il rischio, di riprodurre le stesse dinamiche con le stesse persone. Ci sono regioni che hanno preordinato un numero di posti letto uguale a quello degli internati, significa che si limitano a spostare le persone da un posto all’altro, senza cercare soluzioni. E d’altra parte, per le REMS ci sono i soldi… Il vero problema è che andrebbe rivisto il concetto di imputabilità dei soggetti psichiatrici: se una persona è malata, va curata. Ma per affrontare questo problema servirebbe una riforma del codice penale. La verità è che abbiamo fatto tutto questo impianto complicato e anche costoso per 700 persone, mentre il problema della psichiatria in carcere riguarda 54mila persone. È una goccia in un mare che si chiama  carcere».
Dove andranno da oggi in poi le persone che hanno commesso un reato e hanno problemi psichiatrici, se non possono più andare in Opg?
«Non è chiaro. In prima battuta ci sono i cosiddetti provvisori e non si sa dove vanno. In seconda battuta, se gli si riconosce la prevalenza del reato, vanno in carcere, se gli si riconosce l’impunità forse vanno nelle Rems. Ci     sono infinite variabili da prendere in considerazione: infermità mentale, seminfermità, infermità sopravvenuta… La legge dà una risposta parziale a una serie di norme complicatissime, che fanno la fortuna dei consulenti dei tribunali. Comunque questo è stato un passo avanti: l”importante è non mollare. Sono processi lungi e difficili, che vanno continuamente monitorati».

Improving Prison Conditions by Strengthening the Monitoring of HIV, HCV, TB and Harm Reduction

Conosci.org 30,Mag News

Alessio Scandurra, Associazione Antigone
Dr. Sandro Libianchi, Medical Doctor managing the Ser. T in Rebibbia prison and
President of the “Coordinamento Nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri
Italiane (Co.N.O.S.C.I.)”
Grazia Parisi, Associazione Antigone

The Human Immunodeficiency Virus (HIV), Tuberculosis (TB) and Hepatitis C (HCV) –
are a major health concern in prisons, evidenced by the fact that prevalence rates tend
to be substantially higher among prison populations than in the general population.
Prisons and other places of detention are high-risk environments for the transmission
of these diseases. This is related to the over incarceration of vulnerable and
disadvantaged groups who carry a disproportionately high burden of disease and
ill-health; the criminalization of drug users and high levels of injecting drug use;
overcrowded and substandard prison conditions; inadequate health care; and the
denial of harm reduction services.
Several international, regional and national human rights mechanisms are in place to
monitor and inspect prison conditions in order to prevent torture and ill-treatment –
including the Subcommittee on the Prevention of Torture (SPT), under the Optional
Protocol to the UN Convention against Torture (OPCAT), with National Preventive
Mechanisms (NPMs), as well as within the Committee for the Prevention of Torture of
the Council of Europe (CPT) and national bodies in a number of European countries.
United Nations human rights bodies and the European Court of Human Rights (ECtHR)
are increasingly finding that issues relating to infections in detention can contribute to,
or even constitute, conditions that meet the threshold of ill treatment of prisoners. It is
therefore critically important for human rights-based monitoring mechanisms that have
a mandate to prevent ill treatment to meaningfully examine issues relating to infections
in places of detention.

Scarica tutto il documento

Dpa, La Relazione annuale al Parlamento 2015. Uno sguardo sul carcere

Conosci.org 30,Mag News

Il 24 novembre 2014, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle politiche antidroga ha avviato il ‘Tavolo Interistituzionale e Interdisciplinare finalizzato alla stesura della Relazione annuale al Parlamento sulle Tossicodipendenze’, nel cui contesto è stato selezionato il Gruppo redazionale, composto dai rappresentanti del Ministeri della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità, dai Ministeri degli Interni, della Giustizia, della Difesa, dall’ISTAT, dal CNR, dall’INAIL, dalle Regioni e Province autonome e da Esperti e rappresentanti degli organismi del privato sociale e dei servizi pubblici territoriali. L’assetto organizzativo particolarmente partecipato ha fatto sì che quest’anno la Relazione può considerarsi il risultato di un lavoro realmente collettivo, con il coinvolgimento dei principali responsabili istituzionali e non preposti alla prevenzione e lotta all’uso di droga.

Leggi tutto il documento

Il patto per la salute entra anche in carcere

Conosci.org 30,Mag News

Al momento di andare in stampa riceviamo la conferma che il testo per l’accordo “Linee
guida in materia di modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari; implementazione cletle reti sanitarie regionali e nazionali” – sebbene espressamente
previsto all’art.7 del “Patto per la Salute” , è stato finalmente approvato e sottoscritto
presso la Conferenza Unificata, organo di mediazione e intesa tra lo Stato e le Regioni.
Si tratta di un importantissimo documento che prevede, regolamenta e sancisce modalità
organizzalive ed attuative della medicina all’interno delle carceri, più uniformi rispetto
alle attuali.
Scarica tutto il documento.